Insegnava storia e filosofia in una scuola secondaria di Chioggia, in provincia di Venezia. Dopo alcune ispezioni del Miur, è però risultata assente per un totale di 20 anni su 24 di servizio e per questo motivo la Cassazione ne ha confermato la destituzione, a causa della sua “inettitudine permanente e assoluta” e nonostante il ricorso della stessa docente contro il Miur che aveva fatto appello alla “libertà di insegnamento”.

Cinzia Paolina De Lio, questo il nome della docente, si sarebbe recata in classe per soli quattro mesi di fila, provocando le lamentele degli studenti e dei genitori. La professoressa “sembrava impreparata sulle materie di insegnamento e sul metodo per l’assegnazione dei voti”.

Questa situazione ha fatto scattare l’ispezione ministeriale che aveva giudicato “incompatibili con l’insegnamento” le sue modalità di condurre le lezioni. “La liberà di insegnamento in ambito scolastico è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”, ha spiegato la Cassazione. “Non è dunque libertà fine a se stessa, ma il suo esercizio attraverso l’autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti”.

Durante l’ispezione del Miur durata tre giorni, la docente era risultata disattenta “verso gli alunni durante le loro interrogazioni” in quanto intenta a un “uso continuo del cellulare con messaggistica”. Il monitoraggio delle ispettrici, terminato nel marzo 2013, aveva in sostanza segnalato “assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, la non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, l’improvvisazione, la lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno, l’assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, l’attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, la pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche”.

Quindi la Cassazione ha confermato la destituzione, come deciso dalla Corte di Appello di Venezia nel 2021. In primo grado, invece, il Tribunale nel 2018 aveva bloccato la destituzione.

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