Il timore che la Russia usi l’atomica deve costringere il mondo a ricordare un passato non tanto distante e nefasto. Putin e altri prima di lui sono un esempio di quella che si può definire la «tecnicizzazione dell’esistenza», della spoliazione morale dell’essere umano che consapevolmente e non, incastrato negli ingranaggi arrugginiti del potere, sostituitosi agli dei giudicati sin troppo clementi, diventa esecutore di azioni di cui non può prevedere gli effetti.

Chi ha osato perseguire e distruggere la vita, la storia insegna, ha finito i suoi giorni ostaggio di un rifugio improvvisato. È morto paranoide e suicida.

La condanna a morte del nostro mondo esausto, esilierebbe Putin e i suoi fedeli, ricchi e viziati, a vita in un bunker senza il piacere dell’eccesso cui sono abituati. Persino l’ultima delle bestie dopo il letargo ha bisogno di un cielo. E la ricchezza non sa vivere in solitudine, le occorre un pubblico.

Quello che accadde nel 1945 a Hiroshima e Nagasaki quando i piloti americani lanciarono le bombe atomiche sulla popolazione civile delle due città giapponesi, lo ricordiamo tutti.  Con quei due attacchi nucleari il 6 e il 9 agosto di 75 anni fa, l’America mise fine alla guerra con il Giappone, al costo di almeno 200 mila morti.

Nell’introduzione di Robert Jungk al libro “Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando” di  GüntherAnders e Claude Eatherly, Linea d’ombra 1992″, leggiamo:

Dal 1945, gli esperti occidentali hanno scritto milioni di parole sugli “effetti delle armi nucleari”. Ma, in questa vasta letteratura, c’è una lacuna più che essenziale. Gli esperti hanno esaminato con la massima attenzione migliaia di rovine, decine di migliaia di superstiti della grande catastrofe, ma hanno escluso – dalle loro indagini scrupolose – qualcosa di molto importante: se stessi.

Ma, così facendo, hanno trascurato un fatto decisivo: le bombe atomiche colpiscono anche chi le usa; e perfino chi si limita a progettare seriamente il loro impiego.

Questo effetto boomerang dei mezzi di distruzione di massa non è (è vero) di natura fisica, ma di natura psichica e spirituale. Poiché la violenza distruttiva delle “armi” atomiche, che trascende ogni esperienza bellica precedente, impone, a coloro che le abbiano usate o intendano usarle, un carico psichico che non sono in grado di elaborare consapevolmente né inconsapevolmente.

Il “caso Eatherly” ci ha aperto per la prima volta gli occhi su queste ripercussioni delle nuove armi. Ecco una persona che non allontana da sé, non rimuove, l’evento orrendo che ha contribuito a scatenare, ma lo sente intensamente come colpa, e si mette a gridare, mentre tutti gli altri tacciono, ottusi o rassegnati. […]

Claude Robert Eatherly (1918 -1978) pilotava l’aereo che aveva l’incarico di valutare la visibilità dell’obiettivo su Hiroshima. Fu lui a dare il via libera, 6 agosto 1945, al lancio della bomba che colpì Hiroshima. Il cielo era pulito.

Era un ragazzo texano di 26 anni, tra i migliori piloti della U.S. Army Air Force. Dopo lo sgancio della bomba lasciò l’esercito, si congedò, e rifiutò qualsiasi riconoscimento al valore da parte degli Stati Uniti. Devastato psicologicamente, arrivò a compiere rapine e altri piccoli crimini, sino all’internamento in un ospedale psichiatrico: era probabilmente alla ricerca di una punizione per i sensi di colpa derivante dal suo ruolo nel bombardamento di Hiroshima.

Eatherly è solo uno dei tanti reduci traumatizzati dall’esperienza bellica.

Il filosofo ebreo tedesco Günther Anders, compagno di Hanna Arendt e attivista antinucleare, riguardo alle implicazioni morali e pratiche di ogni invenzione come la bomba atomica, teorizzava il cosiddetto “divario prometeico”.

Nella mitologia greca Prometeo rubava il fuoco agli dei per darlo agli uomini perché si proteggessero dalle avversità della natura: scatenando però nell’uomo fragile e incontrollato anche morte e distruzione. Prometeo venne punito da Zeus con l’eterno tormento. Secondo Anders, i piloti americani incaricati di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki sono un esempio di persone imprigionate nel divario prometeico. Il potere grande della tecnica e la coscienza umana ferita e incontenibile.

Nella “Lettera 1 a Claude Eatherly” scritta da Günther Anders il 3 giugno 1959 (indirizzata Al signor Claude R. Eatherly, ex maggiore della A.F., Veterans’ Administration Hospital Waco, Texas), estrapolata dal libro “L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica” (a cura di Micaela Latini, Mimesis Edizioni), leggiamo:

[…] La tecnicizzazione dell’esistenza: il fatto che, indirettamente e senza saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti, non potremmo approvare – questo fatto ha trasformato la situazione morale di tutti noi. La tecnica ha fatto sì che si possa diventare “incolpevolmente colpevoli”, in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente meno avanzato dei nostri padri. […]

[…]A Lei è capitato ciò che potrebbe capitare domani a noi tutti. È per questo che Lei ha per noi la funzione di un esempio tipico: la funzione di un precursore. […]

[…] Tutti noi dobbiamo vivere in quest’epoca, in cui potremmo incorrere in una colpa del genere: e come lei non ha scelto la sua funzione, così anche noi non abbiamo scelto quest’epoca infausta. […]

[…] L’inutilità dei Suoi sforzi non è quindi colpa Sua, Eatherly: ma è una conseguenza di ciò che ho definito prima come la novità decisiva della nostra situazione; del fatto, cioè, che siamo in grado di produrre più di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli effetti provocati dagli attrezzi che costruiamo sono così enormi che non siamo più attrezzati per concepirli. […]

Cosa è accaduto a Hiroshima e cosa potrebbe accadere ancora?

La pressione esercitata dall’esplosione variava tra le 5,7 e le 8,9 tonnellate per metro quadro. Il calore sprigionato dalla bomba doveva essere stato di 6.000 °C.

A Hiroshima era esplosa una bomba all’uranio e a Nagasaki una, ancora più potente, al plutonio.

Gli scienziati stimarono che a Hiroshima ci sarebbe voluto un rifugio di cemento di spessore pari a 130 centimetri per proteggere completamente un essere umano dagli effetti delle radiazioni.

Riflettiamo su certi eventi. L’uomo è un essere socialmente antiquato che non vuole costruire se prima non ha distrutto. Assuefatto persino alla anormalità dopo che la normalità lo ha annoiato.

GüntherAnders scrive in una delle lettere a Eatherly:

«Che cos’è infatti la “normalità”? Tu sai bene che riterrei anormale chi non reagisse in modo anormale a un’espe­rienza così enorme ed assurda». La vita non guarisce senza la medicina della vita stessa.

Share:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *